09 ottobre, 2012

PROMEMORIA 9 ottobre 1963 Strage del Vajont: nell'Italia nord-orientale, 1917 persone vengono uccise quando una frana caduta nel bacino della diga del Vajont produce una gigantesca onda che supera la diga e si riversa a valle

Strage del Vajont: nell'Italia nord-orientale, 1917 persone vengono uccise quando una frana caduta nel bacino della diga del Vajont produce una gigantesca onda che supera la diga e si riversa a valle « Dopo tanti lavori fortunati e tante costruzioni, anche imponenti, mi trovo veramente di fronte ad una cosa che per le sue dimensioni mi sembra sfuggire dalle nostre mani. » (Dalla lettera di C. Semenza a V. Ferniani del 20 aprile 1961) Con il termine di disastro del Vajont si è soliti indicare il disastro industriale, occorso il 9 ottobre 1963 nel neo-bacino idroelettrico artificiale del Vajont, dovuto alla caduta di una colossale frana dal soprastante pendio montuoso nelle acque del sottostante e omonimo bacino lacustre alpino, alla conseguente tracimazione dell'acqua contenuta nell'invaso con effetto di dilavamento delle sponde del lago, al superamento dell'omonima diga da parte del fronte d'acqua generato fino all'inondazione e distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui la tristemente celebre Longarone. L'evento fu dovuto ad una frana caduta dal versante settentrionale del monte Toc, situato sul confine tra le province di Belluno (Veneto) e Udine (all'epoca dei fatti, ora Pordenone, Friuli-Venezia Giulia), staccatasi a seguito dell'innalzamento delle acque del lago artificiale oltre quota 700 metri (slm) voluto dall'ente gestore per il collaudo dell'impianto, che combinato a una situazione di abbondanti e sfavorevoli condizioni meteo (forti precipitazioni), e sommato a forti negligenze nella gestione dei possibili pericoli dovuti al particolare assetto idrogeologico del versante del monte Toc, innescò il disastro. Alle ore 22.39 di quel giorno, circa 270 milioni di m³ di roccia (un volume quasi triplo rispetto all'acqua contenuta nell'invaso) scivolarono, alla velocità di 30 m/s (108 km/h), nel bacino artificiale sottostante (che conteneva circa 115 milioni di m³ d'acqua al momento del disastro) creato dalla diga del Vajont, provocando un'onda di piena tricuspide che superò di 100 m in altezza il coronamento della diga e che, in parte risalì il versante opposto distruggendo tutti gli abitati lungo le sponde del lago nel comune di Erto e Casso, in parte (circa 25-30 milioni di m³) scavalcò il manufatto (che rimase sostanzialmente intatto seppur privato della parte sommitale) riversandosi nella valle del Piave, distruggendo quasi completamente il paese di Longarone e i suoi limitrofi. Vi furono 1917 vittime di cui 1450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 originarie di altri comuni. Lungo le sponde del lago del Vajont, vennero distrutti i borghi di Frasègn, Le Spesse, Il Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, Faè e la parte bassa dell'abitato di Erto. Nella valle del Piave, vennero rasi al suolo i paesi di Longarone, Pirago, Maè, Villanova, Rivalta. Profondamente danneggiati gli abitati di Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna. Danni anche nei comuni di Soverzene, Ponte nelle Alpi e nella città di Belluno dove venne distrutta la borgata di Caorera, e allagata quella di Borgo Piave. Nel febbraio 2008, nel corso della presentazione dell'Anno internazionale del pianeta Terra (International Year of Planet Earth) dichiarato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per il 2008, il disastro del Vajont fu citato - assieme ad altri quattro - come un caso esemplare di "disastro evitabile" causato dalla scarsa comprensione delle scienze della terra e - nel caso specifico - dal «fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare»

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