06 maggio, 2011

PROMEMORIA 6 maggio 1976 - Terremoto del Friuli: ingentissimi danni e circa 1000 morti di cui la maggior parte nelle zone centro-nord


Terremoto del Friuli: ingentissimi danni e circa 1000 morti di cui la maggior parte nelle zone centro-nord

Il terremoto del Friuli fu un sisma che colpì il Friuli, e i territori circostanti, alle ore 21:06 del 6 maggio 1976, con ulteriori scosse l'11 e 15 settembre.
La zona più colpita fu quella a nord di Udine, con epicentro il monte San Simeone situato tra i comuni di Trasaghis e Bordano nelle vicinanze di Osoppo e Gemona del Friuli e forza pari a 6,4 della magnitudo momento, e intensità pari al decimo grado della scala Mercalli.
La scossa, avvertita in tutto il Nord Italia, investì principalmente 77 comuni italiani con danni, anche se molto più limitati, per una popolazione totale di circa 80.000 abitanti, provocando, solo in Italia, 989 morti e oltre 45.000 senza tetto. Anche la zone dell'alta e media valle del fiume Isonzo, in territorio jugoslavo (oggi sloveno) venne colpita, interessando in particolare i comuni di Tolmino, Caporetto, Canale d'Isonzo e Plezzo.

Le scosse di settembre
I danni del terremoto del maggio 1976 furono amplificati da altre due scosse, a fine dell'estate.
L'11 settembre 1976 la terra tremò di nuovo: si verificarono infatti due scosse alle 18:31 e alle 18:40, la prima delle quali del 5,8 della scala Richter.
Il 15 settembre 1976 prima alle ore 5:00 circa e poi alle ore 11:30 si verificarono ulteriori scosse di oltre 10 gradi della scala Mercalli. Tutto quello che era rimasto ancora in piedi dopo il 6 maggio, crollò definitivamente. I comuni di Trasaghis, Bordano, Osoppo, Gemona del Friuli, Buja e Venzone furono completamente rasi al suolo, in quanto furono le località maggiormente colpite. La popolazione di quei comuni fu trasferita negli alberghi di Grado, Lignano Sabbiadoro, Jesolo e altre località marittime. Là furono ospitati anche i terremotati di altri comuni, rimasti senza alloggio.

Il contesto politico

Il sisma di maggio si presentò al termine del governo Moro V, a Camere già sciolte e in campagna elettorale. Enrico Berlinguer spingeva il PCI, e Indro Montanelli aveva invitato gli italiani a votare DC “turandosi il naso”. Le elezioni del 20-21 giugno (le prime aperte ai 18-21enni) confermarono l'egemonia DC e l'avanzata del PCI (+7,4%, +48 seggi alla Camera). Il terremoto innescò una forte solidarietà sociale, che anticipò il movimento del 1977 e gli anni di piombo.

La ricostruzione

Nonostante una lunga serie di scosse di assestamento, che continuò per diversi mesi, la ricostruzione fu rapida e completa.
L'8 maggio, a un giorno dal sisma, il Consiglio Regionale del Friuli-Venezia Giulia stanziò con effetto immediato 10 miliardi di lire (40 milioni di euro del 2010)[5]
Il Governo Andreotti III nominò il 15 settembre Giuseppe Zamberletti Commissario straordinario del Governo incaricato del coordinamento dei soccorsi. Gli fu concessa carta bianca, salvo approvazione a consuntivo, che regolarmente il Parlamento approvò. In collaborazione con le Amministrazioni locali, i fondi statali destinati alla ricostruzione furono gestiti direttamente da Zamberletti assieme al governo regionale del Friuli Venezia Giulia. Circa 40.000 sfollati passarono l'inverno sulla costa adriatica, per rientrare tutti entro il 31 marzo 1977 in villaggi prefabbricati costruiti nei rispettivi paesi[5]. La ricostruzione totale durò 10 anni.
Finito il mandato di Zamberletti, il governo regionale del Friuli Venezia Giulia, grazie ad un'attenta ed efficiente gestione delle risorse, poté, nell'arco di circa dieci anni ricostruire interi paesi. Ancora oggi il ricordo di come venne gestito il dramma post-terremoto, viene ricordato come un alto esempio di efficienza e serietà.
Il conto dei contributi statali per la ricostruzione del Friuli ammontava a 12.905 miliardi di lire a fine 1995 (circa 9 miliardi di euro del 2010); secondo altre fondi, a 29.000 miliardi di lire (una ventina di miliardi di euro). Il motore della ricostruzione fu assicurato da 500 miliardi di lire destinati alla ripresa economica, mentre il resto dei fondi fu affidato in gestione alle amministrazioni locali, che effettuarono controlli efficaci e rigorosi sugli standard di ricostruzione.
Il disastro diede inoltre un importante impulso alla formazione della protezione civile.
Nell'aprile 1998, Gemona viene descritta dopo una nuova, minima, scossa da Luigi Offeddu, invato del Corriere della Sera: «Gruppi di turisti fotografano il Duomo e passeggiano sotto i portici di via Bini. Duomo e portici che sembrano così com’erano prima del 6 Maggio 1976, ma che invece l’orcolat aveva frantumato, e che la gente ha ricostruito pezzo per pezzo secondo il procedimento chiamato anastilosi: raccogliere ogni pietra, numerarla, ricollocarla al suo posto. Ancora oggi, su alcune pietre dei portici si legge un numero. Ma quel numero, insieme a uno spezzone della chiesa della Madonna delle Grazie, è l’unica traccia che ricordi il passaggio dell’orco».

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