20 maggio, 2011

PROMEMORIA 20 maggio 1999 - Omicidio D'Antona: a Roma le BR uccidono Massimo D'Antona, docente di diritto del lavoro all'Università "La Sapienza".


Omicidio D'Antona: a Roma le BR uccidono Massimo D'Antona, docente di diritto del lavoro all'Università "La Sapienza" di Roma

Consulente del Ministero del Lavoro, docente di diritto del lavoro all'Università degli studi di Roma "La Sapienza"e alla Seconda Università degli studi di Napoli, amministratore delegato dell'ENAV fino al 1998, fu ucciso dai terroristi Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce membri delle Nuove Brigate Rosse, mentre usciva di casa per recarsi al lavoro.
Allievo di Renato Scognamiglio, è stato professore di diritto del lavoro, dopo avere vinto la cattedra nel 1980, nella Università di Catania, poi nella Seconda Università degli Studi di Napoli ed infine all'Università degli studi di Roma "La Sapienza". È autore di monografie e saggi[1], con particolare attenzione alle garanzie del diritto al lavoro e alla privatizzazione del pubblico impiego. È stato tra i fondatori della rivista Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni. A lui è intitolata l'aula magna della Facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università degli Studi di Napoli, dove insegnò Diritto del lavoro.
Scrisse in merito all'incoercibilità delle azioni di reintegrazione nel posto di lavoro, notando come le reiterate pronunce giurisprudenziali conformi ignorino le concrete possibilità di esecuzione e se esistano responsabilità penali per i datori che non eseguano il relativo provvedimento giudiziario. La reintegrazione non sarebbe legittima per cause in pendenza di giudizio, ammettendo l'art. 612 del codice di procedura di civile l'esecuzione forzata degli obblighi di fare solamente riferendosi a una sentenza di condanna per obblighi di fare o di non fare (o a un provvedimento di cui all'art. 669 duodecies c.p.c.). In secondo luogo, l'esecuzione forzata è ammessa solo per obblighi di fare fungibili (art. 2131 c.c.), laddove la reintegrazione nel posto di lavoro richiederebbe inevitabilmente la partecipazione attiva del datore;
La prima critica riguarda il principio del diritto romano del nemo ad factum precise cogi potest, presente all' art. 2931 sull'esecuzione forzata degli obblighi di fare per il quale l'avente diritto può richiedere l'esecuzione forzata avvenga a spese dell'obbligato. Tale norma vale solo per gli obblighi di fare fungibili, eseguibili da persona diversa dal debitore il cui unico onere consisterà nel pagamento delle spese dell'esecuzione forzata, mentre sarebbe incontestabile l'incoercibilità diretta degli obblighi infungibili di fare, per infungibilità sia di diritto che di fatto, maggiormente con l'intervento surrogatorio di un terzo.
Non si ritiene ammissibile nè la scomposizione dell'obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro in una serie di modalità attuative che siano obbligazioni fungibili, non richiedenti atti del datore di lavoro poiché sarebbero lesivi del suo potere direttivo, organizzativo e disciplinare nell'azienda; nè la nomina giudiziale di un commissario ad acta, di cui all'art. 612 c.p.c. Secondo questa interpretazione, il dominio di intervento della polizia giudiziaria, dopo le sentenze definitive di condanna, e l'oggetto possibile di esecuzione forzata di fare solamente o principalmente i provvedimenti pignoratizi a tutela dei diritti di credito, che sicuramente sono obbligazioni fungibili di fare, le quali non richiedono la collaborazione fattiva del debitore, mentre resterebbero senza tutela giurisdizionale una vasta categoria di diritti soggettivi più importanti di quelli di credito, e garantiti dalla Costituzione.
Se il codice civile, limita l'esecuzione forzata agli obblighi di fare fungibili, non esclude affatto sanzioni di carattere penale a carico delle parti inadempienti davanti a una sentenza di condanna definitiva. Diversamente, se in presenza di una sentenza definitiva di condanna, l'inadempiente non può subire nè un'esecuzione forzata della stessa perché obbligo di fare infungibile richiedente la sua partecipazione attiva, nè sanzioni di carattere penale e pecuniario ulteriori rispetto alle obbligazioni economiche alternative alla condanna perché l'inadempimento reca vilipendio alla Corte e danno di immagine ed esistenziale al creditore, vengono meno la basi dello stato diritto, vale a dire la natura imperativa e coattiva del diritto e l'effettività della tutela giurisdizionale, nonché la credibilità dell'istituzione magistratura. Si incoraggia una risoluzione bonaria, transattiva ed extragiudiziale delle controversie, che distoglie dal giudice naturale precostituito per legge, essendo l'accordo economico ocmunque l'epilogo ultimo davanti al comportamento inadempiente della parte che soccombe in giudizio
Limitando l'esecuzione forzata ai soli obblighi di fare fungibili con la contestuale inapplicabilità di sanzioni penali per i comportamenti inadempienti ovvero ostativi verso l'esecuzione dell'ordine giudiziale, la norma cadrebbe in contraddizione con il principio per il quale i diritti soggettivi non possono essere oggetto di rinunce o transazioni, obbligando il codice civile il lavoratore licenziato ingiustamente -specialmente nei casi di licenziamento discriminatorio o di rappresaglia- ad accontentarsi di un risarcimento in denaro. in presenza di un datore inadempiente a un ordine di reintegrazione.

Nessun commento: