19 marzo, 2011

PROMEMORIA 19 marzo 2002 Marco Biagi, giurista del lavoro e consulente del Ministero del Welfare, è ucciso dalle nuove Brigate Rosse


Marco Biagi, giurista del lavoro e consulente del Ministero del Welfare, è ucciso dalle nuove Brigate Rosse
Marco Biagi (Bologna, 24 novembre 1950 – Bologna, 19 marzo 2002) è stato un giuslavorista italiano, più volte consulente del Governo italiano, assassinato dalle Nuove Brigate Rosse. Vincitore nel 1969 di un posto di allievo presso il collegio medico-giuridico di Pisa (attuale Scuola Superiore Sant'Anna), vi ha dovuto rinunciare al secondo anno per ragioni familiari e si è poi laureato in giurisprudenza a Bologna con una tesi in diritto del lavoro. Noto giuslavorista, è stato professore presso le Università di Pisa, Università della Calabria, Università di Ferrara e infine all'Università di Modena e Reggio Emilia. È stato per molti anni professore presso il prestigioso Bologna Center della John Hopkins University. A partire dagli anni '90 ha avuto numerosi incarichi governativi come consulente ed esperto di diritto del lavoro:
nel 1997 fu rappresentante del Governo italiano nel Comitato dell'Unione Europea per l'occupazione e il mercato del lavoro;
nel 1998 fu consigliere degli allora ministri Antonio Bassolino e Tiziano Treu;
nel 2001 fu consulente dell'allora ministro del lavoro e delle politiche sociali, Roberto Maroni.
Molto conosciuto, soprattutto in Giappone e Cina, per la sua conoscenza del diritto del lavoro comparato e per i suoi studi sul mondo del lavoro nei paesi orientali
Prima di morire, Marco Biagi aveva scritto cinque lettere in cui si diceva preoccupato per le minacce che riceveva. Il testo delle lettere, indirizzate al presidente della camera Pierferdinando Casini, al ministro del lavoro Roberto Maroni, al sottosegretario al lavoro Maurizio Sacconi, al prefetto di Bologna ed al direttore generale di Confindustria Stefano Parisi è stato pubblicato dal quindicinale Zero in condotta e poi riportato da Repubblica.[1] In tali lettere spiegava anche che la sua preoccupazione era causata dal fatto che i suoi avversari (Sergio Cofferati in primo luogo), criminalizzavano la sua figura. Biagi sostiene inoltre che una persona attendibile gli ha riferito che Cofferati lo aveva minacciato.
Il 19 marzo 2002 venne ucciso, a 51 anni, da alcuni militanti delle Nuove Brigate Rosse, in un agguato a Bologna in via Valdonica, sotto casa sua, mentre rientrava verso le ore 20.
La rivendicazione a firma delle Nuove Brigate Rosse, presenta per gli esperti impressionanti analogie con quella del precedente delitto di Massimo D'Antona.
Il Ministero dell'Interno (in quel periodo diretto dal Ministro Claudio Scajola) aveva privato Marco Biagi della scorta, richiesta da Biagi solo pochi mesi prima proprio per timore di attentati da parte dell'estremismo di sinistra. Dopo che gli fu tolta la scorta ne fece nuovamente richiesta al Ministero del Lavoro, presso cui operava, in quanto non si sentiva sicuro e riceveva minacce di continuo. Questa non gli fu accordata. I colpevoli stessi ammisero che avevano deciso di colpire proprio lui in quanto era un personaggio di grande visibilità e allo stesso tempo poco protetto.
Nel 2005 cinque terroristi brigatisti furono condannati all'ergastolo come responsabili del suo omicidio: Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari Melazzi e Simone Boccaccini.
L'offesa di Scajola

Il 30 giugno 2002 il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore pubblicano una chiacchierata tra Claudio Scajola (ministro dell'interno in visita ufficiale a Cipro) e alcuni giornalisti.
« A Bologna hanno colpito Biagi che era senza protezione ma se lì ci fosse stata la scorta i morti sarebbero stati tre. E poi vi chiedo: nella trattativa di queste settimane sull'articolo 18 quante persone dovremmo proteggere? Praticamente tutte». E a questo punto il ministro sorprende i presenti quando gli viene detto che Biagi era comunque una figura centrale nel dialogo sociale: protagonista del patto di Milano, coautore del Libro Bianco, consulente del ministero del Welfare, della Cisl, della Confindustria. C'è un attimo di silenzio, Scajola volta le spalle, si blocca, azzarda: «Non fatemi parlare. Figura centrale Biagi? Fatevi dire da Maroni se era una figura centrale: era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza. »
Il 3 luglio 2002 Scajola si dimette e il Viminale passa a Giuseppe Pisanu.

Nessun commento: