16 ottobre, 2009

PROMEMORIA 16 ottobre 1943 - Deportazione dal Ghetto di Roma di 1022 ebrei verso il campo di concentramento di Auschwitz


Deportazione dal Ghetto di Roma di 1022 ebrei verso il campo di concentramento di Auschwitz.

All'alba di sabato 16 ottobre 1943, un centinaio di soldati tedeschi, dopo
aver circondato il quartiere, catturarono 1022 ebrei, tra cui circa 200
bambini.
I prigionieri furono rinchiusi nel Collegio Militare di Palazzo Salviati in
via della Lungara. Trasferiti alla stazione ferroviaria Tiburtina, furono
caricati su un convoglio composto da 18 carri bestiame.
Il convoglio, partito il 18 ottobre, giunse al campo di concentramento di
Auschwitz il 22 ottobre.

Soltanto 17 deportati riusciranno a sopravvivere, tra questi una sola donna
e nessun bambino


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16 ottobre 1943

La deportazione degli ebrei di Roma

La "soluzione finale" per gli ebrei romani arriva il 24 settembre 1943 con
l'ordine da Berlino di "trasferire in Germania" e "liquidare" tutti gli
ebrei
"mediante un'azione di sorpresa". Il telegramma riservatissimo è indirizzato
al tenente colonnello Herbert Kappler, comandante delle SS a Roma.

Nonostante il colpo delle leggi razziali, gli ebrei a Roma non si aspettano
quello che sta per accadere: Roma è "città aperta", e poi c'è il Papa, sotto
l'ombra della cupola di San Pietro i tedeschi non oserebbero ricorrere alla
violenza.

Le notizie sul destino degli ebrei in Germania e nell'Europa dell'Est sono
ancora scarse e imprecise. Inoltre, la richiesta fatta il 26 settembre da
Kappler alla comunità ebraica di consegnare 50 chili d'oro, pena la
deportazione di 200 persone, illude gli ebrei romani che tutto quello che i
tedeschi vogliono sia un riscatto in oro. Oro che con enormi difficoltà la
comunità riesce a mettere insieme e consegnare due giorni dopo in Via Tasso,
nella certezza che i tedeschi saranno di parola e che nessun atto di
violenza verrà compiuto. Nelle stesse ore le SS, con l'ausilio degli elenchi
dei nominativi degli ebrei forniti dall'Ufficio Demografia e Razza del
Ministero dell'Interno, stanno già organizzando il blitz del 16 ottobre.

C'è una lapide sulla facciata della Biblioteca di Archeologia e Storia
dell'Arte a Via del Portico d'Ottavia, quasi di fronte alla Sinagoga.
Ricorda che "qui ebbe inizio la spietata caccia agli ebrei".

Qui, in un'alba di 56 anni fa, si radunarono i camion e i soldati addetti
alla "Judenoperation" nell'area del ghetto, dove ancora abitavano molti
ebrei romani. Il centro della storia e della cultura ebraiche a Roma stava
per vivere il suo giorno più atroce.

«Era sabato mattina, festa del Succot, il cielo era di piombo. I nazisti
bussarono alle porte, portavano un bigliettino dattiloscritto. Un ordine per
tutti gli ebrei del Ghetto: dovete essere pronti in 20 minuti, portare cibo
per 8 giorni, soldi e preziosi, via anche i malati, nel campo dove vi
porteranno c'è un'infermeriao», così Riccardo Di Segni, rabbino capo di
Roma, ha ricordato quella mattina del 16 ottobre 1943.

Alle 5,30 del mattino di sabato 16 ottobre, provvisti degli elenchi con i
nomi e gli indirizzi delle famiglie ebree, 300 soldati tedeschi iniziano in
contemporanea la caccia per i quartieri di Roma. L'azione è capillare:
nessun ebreo deve sfuggire alla deportazione. Uomini, donne, bambini,
anziani ammalati, perfino neonati: tutti vengono caricati a forza sui
camion, verso una destinazione sconosciuta. Alla fine di quel sabato le SS
registrano la cattura di 1024 ebrei romani.



"Quel 16 ottobre -racconta uno degli scampati alla deportazione- era un
sabato, giorno di riposo per gli ebrei osservanti. E nel Ghetto i più lo
erano. Inoltre era il terzo giorno della festa delle Capanne. Un sabato
speciale, quasi una festa doppia... La grande razzia cominciò attorno alle
5.30.

Vi presero parte un centinaio di quei 365 uomini che erano il totale delle
forze impiegate per la "Judenoperation". Oltre duecento SS
contemporaneamente si irradiavano nelle 26 zone in cui la città era stata
divisa per catturare casa per casa gli ebrei che abitavano fuori del vecchio
Ghetto. L'antico quartiere ebraico fu l'epicentro di tutta l'operazione...
Le SS entrarono di casa in casa arrestando intere famiglie in gran parte
sorprese ancora nel sonno...

Tutte le persone prelevate vennero raccolte provvisoriamente in uno spiazzo
che si trova poco più in là del Portico d'Ottavia attorno ai resti del
Teatro di Marcello. La maggior parte degli arrestati erano adulti, spesso
anziani e assai più spesso vecchi. Molte le donne, i ragazzi, i fanciulli.
Non venne fatta nessuna eccezione, né per persone malate o impedite, né per
le donne in stato interessante, né per quelle che avevano ancora i bambini
al seno...".

"I tedeschi bussarono, poi non avendo ricevuto risposta sfondarono le porte.
Dietro le quali, impietriti come se posassero per il più spaventosamente
surreale dei gruppi di famiglia, stavano in esterrefatta attesa gli
abitatori, con gli occhi da ipnotizzati e il cuore fermo in gola", ricorda
Giacomo Debenedetti.

"Fummo ammassati davanti a S. Angelo in Pescheria: I camion grigi
arrivavano, i tedeschi caricavano a spintoni o col calcio del fucile uomini,
donne, bambini ... e anche vecchi e malati, e ripartivano. Quando toccò a
noi mi accorsi che il camion imboccava il Lungotevere in direzione di Regina
Coeli... Ma il camion andò avanti fino al Collegio Militare.

Ci portarono in una grande aula: restammo lì per molte ore. Che cosa mi
passava per la testa in quei momenti non riesco a ricordarlo con precisione;
che cosa pensassero i miei compagni di sventura emergeva dalle loro confuse
domande, spiegazioni, preghiere. Ci avrebbero portato a lavorare? E dove? Ci
avrebbero internato in un campo di concentramento?

"Campo di concentramento" allora non aveva il significato terribile che ha
oggi. Era un posto dove ti portavano ad aspettare la fine della guerra; dove
probabilmente avremmo sofferto freddo e fame, ma niente ci preparava a
quello che sarebbe stato il Lager", ha scritto Settimia Spizzichino nel
suolibro "Gli anni rubati".

Per la prima volta Roma era testimone di un'operazione di massa così
violenta. Tra coloro che assistettero sgomenti ci fu una donna che piangendo
si mise a pregare e ripeteva sommessamente: "povera carne innocente". Nessun
quartiere della città fu risparmiato: il maggior numero di arresti si ebbe a
Trastevere, Testaccio e Monteverde.

Alcuni si salvarono per caso, molti scamparono alla razzia nascondendosi
nelle case di vicini, di amici o trovando rifugio in case religiose, come
gli ambienti attigui a S. Bartolomeo all'Isola Tiberina. Alle 14 la grande
razzia era terminata. Tutti erano stati rinchiusi nel collegio Militare di
via della Lungara, a pochi passi da qui. Le oltre 30 ore trascorse al
Collegio Militare prima del trasferimento alla Stazione Tiburtina furono di
grande sofferenza, anche perché gli arrestati non avevano ricevuto cibo. Tra
di loro c'erano 207 bambini.

Due giorni dopo, lunedì 18 ottobre, i prigionieri vengono caricati su un
convoglio composto da 18 carri bestiame in partenza dalla Stazione
Tiburtina. Il 22 ottobre il treno arriva ad Auschwitz.

Dei 1024 ebrei catturati il 16 ottobre ne sono tornati solo 16, di cui una
sola donna (Settimia Spizzichino). Nessuno degli oltre 200 bambini è
sopravvissuto.

Dopo il 16 ottobre 1943, la polizia tedesca catturò altri ebrei: alla fine
scomparvero da Roma 2091 ebrei. Uno dei momenti più tragici fu il massacro
delle Fosse Ardeatine; in queste cave di tufo abbandonate, fuori dalle porte
della città e contigue alle vecchie catacombe, il 24 marzo 1944 furono
trucidati 335 uomini di cui 75 ebrei.

Roma fu liberata il 4 giugno 1944 e la capitolazione finale di tedeschi e
fascisti si ebbe il 2 maggio 1945.

Nel 1946, le vittime accertate per deportazioni da tutta Italia furono
settemilacinquecento e quelle per massacri mille; gli abbandoni per
emigrazione, cinquemila.

Dalla comunità di Roma, oltre ai 2091 deportati e morti, mancavano alla fine
della guerra anche molti emigrati. Nel biennio 1943-1945 le perdite della
popolazione ebraica in tutta Italia furono all'incirca 7750, pari al 22% del
totale della popolazione ebraica nel nostro Paese.

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