11 luglio, 2009

PROMEMORIA 11 luglio 1979 Giorgio Ambrosoli viene assassinato


Milano: Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, dopo aver testimoniato davanti a giudici statunitensi sui traffici di Michele Sindona, viene assassinato mentre rientra a casa.
Giorgio Ambrosoli (Milano, 17 ottobre 1933 – Milano, 11 luglio 1979) è stato un avvocato italiano, esperto in liquidazioni coatte amministrative. Fu assassinato l'11 luglio 1979 da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano Michele Sindona, sulle cui attività aveva ricevuto incarico di indagare.

Antefatto
Nel 1971 si addensarono sospetti sulle attività del banchiere siciliano Michele Sindona.
La Banca d'Italia per mano del Banco di Roma investigò sulle attività di Sindona nel tentativo di non fare fallire gli Istituti di credito da questi fondati (Banca Unione e Banca Privata Finanziaria). I motivi delle scelte dell'allora Governatore Carli erano chiaramente tese a non provocare il panico nei correntisti. Così fu accordato un prestito al Sindona, voluto anche in virtù della benvolenza dell'Amministratore Delegato Dott. Mario Barone. Quest'ultimo fu cooptato come terzo amministratore, addirittuta modificando lo statuto della Banca stessa che ne prevedeva due (nel caso specifico, i Sig. ri Ventriglia e Guidi). Fu accordato tale prestito con tutte le modalità e transazioni necessarie e fu incaricato il Direttore Centrale del Banco di Roma, Sig. Giovanbattista Fignon, di occuparsi della cosiddetta vicenda. Le Banche di Sindona furono fuse e prese vita la Banca Privata Italiana di cui il Fignon divenne Vice Presidente e Amministratore Delegato. Al contrario di tutte le aspettative, Fignon andò a Milano a rivestire detta carica e capì immediatamente la gravità della situazione. Stese numerose relazioni, capì le operazioni gravose messe in piedi da Sindona e dai suoi collaboratori tanto che ne ordinò l'immediata sospensione. Ma a Roma i poteri forti forse non gradirono una così massiccia operazione di pulizia, sebbene nei pochi mesi di tale gestione emersero innumerevoli aspetti che potevano indurre ad un salvataggio. Fignon fece egregio lavoro ma non poté bastare e nel settembre del 1974 consegnò a Giorgio Ambrosoli la relazione sullo stato della Banca. Fignon continuò nel suo operato tanto da essere citato anche nelle agende dell' Avvocato Ambrosoli che nulla poteva immaginare di ciò che sarebbe seguito.
Ciò che emerse dalle investigazioni indusse, nel 1974, a ordinare un commissario liquidatore. Per il compito fu scelto Giorgio Ambrosoli.

L'incarico
In questo ruolo, Ambrosoli assunse la direzione della banca e si trovò ad esaminare tutta la trama delle articolatissime operazioni che il finanziere siciliano aveva intessuto, principiando dalla società "Fasco", l'interfaccia fra le attività palesi e quelle occulte del gruppo.
Nel corso dell'analisi svolta dall'avvocato emersero le gravi irregolarità di cui la banca si era macchiata e le numerose falsità nelle scritturazioni contabili.
Contemporaneamente a questa opera di controllo Ambrosoli cominciò ad essere oggetto di pressioni e di tentativi di corruzione. Queste miravano sostanzialmente a ottenere che avallasse documenti comprovanti la buonafede di Sindona.
Se si fosse ottenuto ciò lo Stato Italiano, per mezzo della Banca d'Italia, avrebbe dovuto sanare gli ingenti scoperti dell'istituto di credito. Sindona, inoltre, avrebbe evitato ogni coinvolgimento penale e civile.
Ambrosoli non cedette, sapendo di correre notevoli rischi. Nel 1975 indirizzò una lettera alla moglie in cui scrisse:
« È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di far qualcosa per il Paese. »
Ai tentativi di corruzione fecero presto seguito minacce esplicite.
Malgrado ciò, Ambrosoli confermò la necessità di liquidare la banca e di riconoscere la responsabilità penale del banchiere.
Nel corso dell'indagine emerse, inoltre, la responsabilità di Sindona anche nei confronti di un'altra banca, la statunitense Franklin National Bank, le cui condizioni economiche erano ancora più precarie. L'indagine, dunque, vide coinvolta non solo la magistratura italiana, ma anche l'FBI.
In un clima di tensione e di pressioni anche politiche molto forti, Ambrosoli concluse la sua inchiesta. Avrebbe infine dovuto sottoscrivere una dichiarazione formale il 12 luglio 1979.

L'omicidio
La sera dell'11 luglio 1979, rincasando dopo una serata trascorsa con amici, fu avvicinato sotto il suo portone da uno sconosciuto.
Questi si scusò e gli esplose contro tre colpi di 357 Magnum. Ad ucciderlo fu William J. Aricò, un sicario fatto appositamente venire dall'America e pagato con 25 000 dollari in contanti ed un bonifico di altri 90 000 dollari su un conto bancario svizzero.
Nessuna autorità pubblica presenziò ai funerali, ad eccezione della sola Banca d'Italia.
Il 18 marzo 1986 a Milano, Michele Sindona e Roberto Venetucci (un trafficante d'armi che aveva messo in contatto Sindona col killer) furono condannati all'ergastolo per l'uccisione dell'avvocato Ambrosoli.

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