17 aprile, 2009

PROMEMORIA 17 aprile 1969 Il presidente del Partito Comunista Cecoslovacco, Alexander Dubcek, viene deposto


Il presidente del Partito Comunista Cecoslovacco, Alexander Dubcek, viene deposto.
Alexander Dubček (Uhrovec, 27 novembre 1921 – Praga, 7 novembre 1992) è stato un politico cecoslovacco.
All'età di quattro anni si trasferì con tutta la sua famiglia in Unione Sovietica. Rientrato in Cecoslovacchia nel 1939, lavorò come operaio e aderì al movimento comunista clandestino, prendendo parte alla resistenza antinazista e all'insurrezione slovacca 1944. Nel 1951 diventò deputato dell'Assemblea nazionale e nel 1963 segretario del Partito comunista slovacco (che con quello di Boemia e Moravia formava il Partito Comunista Cecoslovacco, PCC).
Convinto della necessità di abbandonare il modello sovietico, Dubček riunì intorno a sé un folto gruppo di politici e intellettuali riformatori, diventando il maggiore interprete di una linea antiautoritaria – definita "socialismo dal volto umano" – e di una feconda stagione politica: la Primavera di Praga. Nel gennaio del 1968 venne eletto segretario generale del PCC al posto di Antonín Novotný, leader della componente più legata al Partito comunista sovietico, dando avvio al cosiddetto "nuovo corso", una strategia politica volta a introdurre elementi di democrazia in tutti i settori della società.
Il consenso popolare ottenuto dall'azione riformatrice di Dubček suscitò ben presto la reazione di Mosca e degli altri regimi comunisti est-europei, che, infine, si risolsero a porre fine all'eterodossa esperienza praghese ordinando, nell'agosto del 1968, l'intervento delle truppe del Patto di Varsavia. Privato del suo incarico nel 1969, Dubček fu espulso dal PCC l'anno seguente e si trasferì in Slovacchia, dove trovò impiego come manovale in un'azienda forestale.
Acclamato durante la rivoluzione di velluto del 1989, dopo la caduta del regime comunista Dubček fu riabilitato ed eletto presidente del Parlamento federale cecoslovacco. In questa veste si batté contro la divisione della Cecoslovacchia e compì l'ultimo suo atto politico, rifiutandosi di firmare una legge sull'epurazione rivolta indifferentemente a tutti i passati membri del PCC, nel timore che essa avrebbe creato nel paese un pericoloso clima di vendette. Morì poco tempo dopo per le ferite riportate in un incidente stradale, avvenuto in circostanze mai del tutto chiarite.

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