23 marzo, 2008

PROMEMORIA 23 marzo 1944 - intorno alle tre del pomeriggio esplode una bomba in Via Rasella a Roma


Seconda guerra mondiale: intorno alle tre del pomeriggio esplode una bomba in Via Rasella a Roma, uccidendo 33 soldati tedeschi in transito. Per rappresaglia il giorno dopo (vedi 24 marzo) le truppe tedesche compiranno l'eccidio delle Fosse Ardeatine.
L'attacco di via Rasella avvenne a Roma il 23 marzo del 1944, nel corso della seconda guerra mondiale, per opera dei partigiani dei Gruppi di azione patriottica contro le truppe tedesche che occupavano la città-
Ordine di operazione [modifica]

I partigiani che eseguirono l'attacco facevano parte dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) che dipendevano dalla Giunta Militare, a sua volta dipendente dal Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), i cui responsabili erano: il socialista Sandro Pertini, il comunista Giorgio Amendola e Riccardo Bauer del Partito d'Azione. L'ordine di eseguire l'attacco fu dato dai responsabili della Giunta militare. Anni dopo sia Pertini che Bauer dichiararono di non essere a conoscenza della preparazione dell'imboscata e che l'ordine venne dato da Amendola senza che fossero stati avvertiti. Amendola confermò tutto e rivendicò alla sua persona la responsabilità di aver dato l'ordine operativo ai gappisti.

Circostanze degli eventi

La data scelta per l'attacco fu significativamente quella del 23 marzo 1944, venticinquesimo anniversario della fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento. Per l'occasione i fascisti - sotto la guida del segretario locale del Partito fascista repubblicano Giuseppe Pizzirani - avevano programmato una solenne commemorazione da tenersi presso il Teatro Adriano, in Piazza Cavour. L'adunata fu annullata per ordine del comandante militare tedesco della piazza di Roma, il tenente generale della Luftwaffe Kurt Maeltzer, timoroso del possibile scoppio di incidenti e deciso ad evitarli. Infatti, in seguito all'azione partigiana gappista in via Tomacelli del 10 marzo, dove fu attaccato un corteo di fascisti, il comando tedesco vietò ai repubblichini di svolgere manifestazioni pubbliche. L'attacco in via Rasella avrebbe dovuto svolgersi in concomitanza con un'altra azione da compiersi al Teatro Adriano, in occasione della suddetta manifestazione, ma in seguito allo spostamento di quest'ultima al chiuso presso il Ministero delle Corporazioni in via Veneto, l'azione stessa fu quindi annullata.

L'attacco

Già nei giorni precedenti il 23 marzo il Comando Centrale Garibaldino aveva notato il transito di una compagnia tedesca di SS che dopo essere entrata da Porta del Popolo provenendo dal Flaminio, imboccava via del Babuino dirigendosi verso via del Tritone. Qui, costeggiando l'imbocco del Traforo, entrava in via Rasella, e proseguendo, giungeva al Viminale (che era stato sede del Ministero dell'Interno e dal dicembre del 1943 era stato trasferito a Salò) dove era acquartierata.

Per alcuni giorni, quindi, furono studiati gli spostamenti di questi soldati, che percorrevano in tenuta di guerra le strade di Roma cantando, preceduti e seguiti da pattuglie motorizzate munite di mitragliatrice pesante.

Era l'11a compagnia del 3° battaglione dell'SS Polizei Regiment Bozen composta da 156 uomini tra ufficiali, sottufficiali e truppa, volontari altoatesini arruolati a seguito dell'annessione alla Germania nazista del 1° ottobre 1943 delle province di Bolzano, Trento e Belluno (il cosiddetto "Alpenvorland") e che avevano scelto la polizia anziché l'esercito soprattutto per evitare il durissimo fronte russo e per avere un “soldo” più elevato. Altri reparti dello stesso reggimento (che come l'11a compagnia erano impiegati nella guerra anti-partigiana, nella caccia agli ebrei, agli antifascisti, ai renitenti alla leve militari e del lavoro, ecc.) compirono eccidi nel Bellunese, nella Valle del Biois, in Istria, ecc. e furono processati e condannati alla fine della guerra da tribunali militari Alleati.

Risultò quindi, in seguito ai diversi appostamenti, che tale compagnia percorreva quotidianamente lo stesso tratto di strada alla stessa ora (verso le due del pomeriggio) e che il punto migliore per attaccarla sarebbe stata appunto via Rasella, una strada in salita poco frequentata, scelta, oltre che per creare un imbottigliamento alla compagnia, anche per la scarsa presenza di botteghe e portoni, quindi per il rado transito di civili.

Per l'esecuzione dell'attacco furono impiegati i GAP centrali che già dal periodo successivo all'8 settembre 1943 avevano compiuto numerose azioni di guerriglia urbana nella zona del centro storico. Numerosi quindi furono i partigiani che avrebbero partecipato all'azione, dei quali uno di essi, travestito da spazzino, avrebbe dovuto innescare un ordigno nascosto all'interno di un carrettino della nettezza urbana, mentre gli altri, ad esplosione avvenuta, avrebbero dovuto attaccare con pistole e bombe a mano la compagnia.

Il compito di far brillare l'esplosivo fu affidato al partigiano Rosario Bentivegna (“Paolo”), studente in medicina, il quale il 23 marzo si avviò travestito da spazzino dal deposito gappista nei pressi del Colosseo verso via Rasella, con il carretto contenente l'ordigno. Dopo essersi appostato ed aver atteso circa due ore in più, rispetto alla consueta ora di transito della compagnia nella via, alle 15.52 accese con il fornello di una pipa la miccia, preparata per far avvenire l'esplosione dopo circa 50 secondi, tempo necessario ai tedeschi per percorrere il tratto di strada compreso tra un punto a valle usato per la segnalazione, ed il carretto, posizionato in alto davanti a Palazzo Tittoni.

Poco dopo l'esplosione due squadre dei GAP, una composta da sette uomini l'altra da sei, sotto il comando di Franco Calamandrei detto "Cola" e Carlo Salinari detto "Spartaco", lanciarono bombe a mano e fecero fuoco sui sopravvissuti all'esplosione.

Disposizione tattica dei partigiani

Quest'ultimo ha in seguito testimoniato che i partigiani erano disposti in questo modo: Bentivegna accanto al carretto, Carla Capponi (che aveva un impermeabile nascosto, da mettere addosso allo stesso Bentivegna per coprirne la divisa da spazzino, ed una pistola sotto i vestiti), in cima alla via; Fernando Vitagliano, Francesco Curreli, Raul Falcioni, Guglielmo Blasi ed altri, vicino al Traforo; nei pressi Silvio Serra; all'angolo di via del Boccaccio si trovava Franco Calamandrei. Alcuni altri gappisti erano sistemati per coprirne la fuga.

Modalità di azione

Calamandrei si tolse il copricapo (segnale per avvisare Bentivegna che i tedeschi si stavano avvicinando e che quindi doveva accendere la miccia ed allontanarsi velocemente). Immediatamente dopo l'esplosione gli altri partigiani raggiunsero Calamandrei per eseguire il lancio delle bombe a mano e colpire i militari con colpi di pistola. Nell'immediatezza dell'evento rimasero uccisi 32 tedeschi e 110 rimasero feriti. Dei feriti, uno morì poco dopo il ricovero, mentre era in corso la preparazione della rappresaglia, che fu dunque calcolata in base a 33 vittime germaniche. In seguito sarebbero deceduti altri 9 militari feriti, portando così a 42 il totale dei caduti (32 «quasi immediatamente e gli altri nei giorni seguenti»[1]). Tra i gappisti non vi furono perdite. Vi furono due vittime civili, un uomo e un bambino di dieci anni.

L'attacco di Via Rasella come legittimo atto di guerra

* Con sentenza del 20 luglio 1947, emessa contro Kappler e altri, il Tribunale militare di Roma escludeva la legittimità della rappresaglia effettuata dalle forze d'occupazione tedesche, negando però la natura di legittima azione di guerra dell'attacco, in quanto non commesso da "legittimi belligeranti". L'azione partigiana, infatti, sarebbe stata priva dei requisiti previsti dalla Convenzione dell'Aja del 18 ottobre 1907 per qualificare i civili come legittimi belligeranti, ossia l'organizzazione in corpi di volontari che portino apertamente le armi, siano sottoposti ad un comandante responsabile per i subordinati e dotati di segno distintivo fisso riconoscibile a distanza (una divisa). Il Tribunale Supremo Militare, decidendo sul ricorso presentato da Kappler contro la condanna, ribaltava però tale definizione, sostenendo la natura di legittimi belligeranti degli autori dell'attacco.
* Con la sentenza n. 3053 del 19 luglio 1957, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, si pronunciarono in tema di risarcimento del danno richiesto dalle vittime civili dell'attacco di Via Rasella, stabilendo che la lotta partigiana è stata considerata dalla legislazione italiana quale legittima attività di guerra, con conseguente improponibilità dell'azione risarcitoria proposta.
* Con l'ordinanza del 16 aprile 1998, il Giudice delle indagini preliminari di Roma disponeva l'archiviazione del procedimento penale a carico di Rosario Bentivegna, Carla Capponi e Pasquale Balsamo, iniziato a seguito di una denuncia presentata da alcuni parenti delle vittime civili dell'attacco. Il Giudice escludeva la qualificazione dell'atto come legittima azione di guerra, ravvisando tutti gli estremi oggettivi e soggettivi del reato di strage, altresì rilevando tuttavia l'estinzione del reato a seguito dell'amnistia prevista dal decreto 5 aprile 1944 per tutti i reati commessi "per motivi di guerra". Decidendo con sentenza n.1560/99 sul ricorso presentato da Bentivegna, Balsamo e dalla Capponi, la prima sezione penale della Corte di Cassazione ribadiva la natura di legittimo atto di guerra dell'attacco di Via Rasella, inquadrabile ai sensi del decreto legislativo luogotenenziale n. 194 del 1945, successivo all'amnistia, che ha escluso la natura di reato, inserendola tra gli atti di guerra ad ogni operazione compiuta dai patrioti per la necessità di lotta contro i tedeschi e i fascisti nel periodo dell'occupazione fascista. La legittimità dell'azione, per la Suprema Corte, deve essere pertanto valutata nel suo complesso, senza che sia possibile scinderne le conseguenze a carico dei militari tedeschi che ne costituivano l'obiettivo da quelle coinvolgenti i civili che ne rimasero vittima, in rapporto alla sua natura di "azione di guerra".
* Il 7 agosto 2007 la Cassazione ha confermato la condanna al risarcimento inflitta dalla Corte d'appello di Milano al quotidiano Il Giornale per diffamazione ai danni di Rosario Bentivegna[2][3]. La Corte, partendo dalla qualificazione dell'attacco come legittimo atto di guerra rivolto a colpire esclusivamente i militari occupanti, ha ritenuto che alcune affermazioni contenute in articoli pubblicati dal quotidiano milanese nel 1996, per i Supremi Giudici tendenti a parificare le responsabilità degli esecutori dell'attacco di Via Rasella e dei comandi nazisti nella causazione della strage delle Fosse Ardeatine, erano gravemente lesive dell'onorabilità personale e politica del Bentivegna. Le affermazioni del Giornale furono:
o che il battaglione Bozen fosse costituito interamente da cittadini italiani, mentre per la Cassazione facendo parte dell'esercito tedesco, i suoi componenti erano sicuramente altoatesini che avevano optato per la cittadinanza germanica.
o che i componenti del Bozen fossero "vecchi militari disarmati", mentre per la Cassazione essi erano soggetti pienamente atti alle armi, tra i 26 e i 43 anni, dotati di sei bombe e pistole.
o che le vittime civili fossero sette, mentre per la Cassazione nessuno mette più in discussione che furono due.
o che dopo l'attacco erano stati affissi manifesti in cui si intimava ai responsabili dell'attacco di consegnarsi per evitare una rappresaglia ma, per la Corte l'asserzione trova puntuale smentita nel fatto che la rappresaglia delle Fosse Ardeatine era iniziata circa 21 ore dopo l'attentato, e soprattutto nella direttiva del Minculpop la quale disponeva che si tenesse nascosta la notizia di Via Rasella, che venne effettivamente data a rappresaglia già avvenuta.

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