12 aprile, 2007

PROMEMORIA 12 aprile 1995 - Italia: sospende le pubblicazioni il giornale "La voce", fondato e diretto da Indro Montanelli


Le cause sono da ricondurre allo scarso interesse del pubblico ed ai debiti accumulati
L’impresa editoriale de “LA Voce” non ebbe vita lunga, non riuscendo ad ottenere nel tempo un sufficiente volume di vendite, nonostante un esordio di 400.000 copie. Come egli stesso ebbe modo di dire, La Voce si proponeva un fenomeno troppo ambizioso: nella sua idea iniziale la nuova testata doveva essere un settimanale, o un mensile, sul modello de Il Mondo di Mario Pannunzio (di conseguenza la progettazione della "terza pagina", la sezione culturale, risultò particolarmente curata), ma il numero di giornalisti alle sue dipendenze lo spinsero verso un quotidiano. Tra questi un giovane Beppe Severgnini, ora giornalista e scrittore di fama internazionale.
Dopo la chiusura della Voce, tornò così a lavorare per il Corriere della Sera, per curare la pagina di colloquio coi lettori, la "Stanza di Montanelli", posta in chiusura del giornale.
Da molti considerato il più grande giornalista italiano, il suo lavoro giornalistico fu riconosciuto e premiato anche all'estero (Premio Principe delle Asturie 1996 in Spagna, una decorazione in Finlandia, dagli Stati Uniti gli arrivò il riconoscimento annuale come miglior giornalista internazionale). È stato autorevole cronista della storia italiana ed ha intervistato personaggi come Winston Churchill, Charles de Gaulle, Luigi Einaudi, Papa Giovanni XXIII.
La sua prassi giornalistica fu influenzata dal praticantato che fece in America, tenendo presente ciò che gli aveva detto il direttore del giornale di allora, vale a dire che ogni articolo deve poter essere letto e capito da chiunque, anche dal "lattaio dell'Ohio". Divenne membro onorario dell'Accademia della Crusca, per la quale si batté, sulle pagine del Giornale, cercando di coinvolgere direttamente i suo lettori, così che uno dei più antichi e importanti centri di studio sulla lingua italiana non scomparisse. Nel 1991 Francesco Cossiga, presidente della Repubblica, gli offrì la nomina a senatore a vita, ma Montanelli non la volle accettare, sostenendo che un giornalista dovrebbe stare a distanza di sicurezza dal potere, a garanzia della sua completa indipendenza.
Montanelli, negli ultimi suoi anni, si distinse per la posizione profondamente critica assunta nei confronti del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, il suo ex editore, ritenuto gravemente antidemocratico, propenso alla menzogna, autore di un progetto politico che, diversamente da come veniva descritto, con la destra non avesse niente a che fare. Intendeva mettere in guardia gli italiani, ricordando la pericolosità di un nuovo "uomo della provvidenza" capace di risolvere tutti i problemi, facendo notare, riferendosi a Benito Mussolini, che ne avesse già conosciuto uno in passato e che gli fosse bastato. Fra le sue considerazioni più note, quella fatta poco tempo prima delle elezioni politiche del maggio 2001, quando, ritenendo Berlusconi vicino alla vittoria elettorale, lo paragonò ad una malattia e disse che l'Italia ne sarebbe guarita, similmente all'azione di un vaccino, in seguito al suo esercizio del potere.
Due mesi dopo si spense a Milano nella clinica de La Madonnina (lo stesso posto dove 29 anni prima morì un'altra figura del Corriere, Dino Buzzati). Il giorno seguente il direttore del Corriere della Sera rese pubblico in prima pagina, scritto dallo stesso Montanelli poco prima di morire, il suo necrologio, prendendo così congedo dai suoi lettori, ringraziandoli dell'affetto e della fedeltà con cui lo hanno seguito.
Il suo amico-nemico Eugenio Scalfari lo ha definito "Anarchico e guascone", più simile a Cirano che a Don Chisciotte: "Montanelli non ha mai combattuto contro i mulini a vento scambiandoli per minacciosi giganti, gli avversari che di volta in volta si sceglieva rappresentavano potenti realtà politiche o economiche, che Indro studiava con molta cura prima di muoverne all'attacco. Ne misurava la forza, ne coglieva il punto debole e lì sferrava il colpo". Enzo Biagi ricorda il suo legame con il lettore: "era il suo vero padrone. E quando vedeva lo strapotere di certi personaggi, si è sempre battuto cercando di rappresentare la voce di quelli che non potevano parlare".

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